Per avere un’idea chiara riguardo le manovre di una nave e, più nello specifico, il funzionamento dei loro sistemi di propulsione, risulta necessario approfondire la conoscenza delle modalità con cui essi interagiscono con la carena, nel determinare l’effetto evolutivo, e per fare ciò è conveniente farsi un’idea su quella che è la manovrabilità in generale. Ho cercato di fare un riassunto riguardo quelle che sono le manovre più frequenti, come si effettuano e come le forze agiscono sullo scafo tramite l’azione del timone e delle eliche. Premetto che le considerazioni che qui seguono sulla manovrabilità della nave valgono, in massima parte, sia che si tratti di timoni semplici o di timoni–propulsori.

La Manovrabilità di una nave

Partiamo dalle basi: con il termine manovrabilità, per definizione, si intende sia lo studio dei movimenti della nave sulla superficie marina, sia l’attitudine della nave a eseguire con precisione una manovra di regolazione della traiettoria. Tutte le navi dovrebbero possedere delle qualità di manovrabilità tali da consentire loro di effettuare in maniera soddisfacente ed indipendente da ausili esterni (rimorchiatori) una serie di procedure di controllo del moto. Una nave manovrabile è quindi implicitamente anche “controllabile”, perché risponde in maniera sicura ai comandi impartiti. La manovrabilità tiene in considerazione alcuni aspetti fondamnetali: • il governo della nave (steering), ovvero il controllo della rotta, riguarda la capacità di mantenimento della rotta, con riferimento ad una traiettoria predeterminata. Questa attitudine è quindi strettamente correlata alla facilità di mantenere una nave sulla sua rotta contro l’azione delle forze ambientali che creano delle perturbazioni al moto (colpi vento, correnti, onde); • la manovra della nave (manoeuvring), ovvero la modifica della rotta, concerne la capacità della nave di eseguire una variazione della traiettoria in maniera veloce e con piccoli spazi di manovra, sia per modificare l’angolo di rotta, sia per invertire la sua rotta eseguendo un’evoluzione completa ; • la variazione di velocità (speed changing), la capacità di estinguere il moto di avanzo per bloccare il movimento della nave in situazioni di emergenza, o più semplicemente a ridurre la velocità per particolari esigenze. • L’esecuzione di manovre di disimpegno con grandi angoli d’accostata, o di emergenza e con stretti angoli di accostata.


L'azione del timone

Come tutti sappiamo, nelle navi a elica, il timone costituisce il principale organo di governo, l’unico in grado di effettuare virate ad ogni velocità ed angolazione (ricordiamo che i thruster perdono il loro effetto evolutivo quando si superano i 7 nodi). Quando la nave si trova in moto rettilineo, con il timone diritto (in posizione detta “alla via”), il complesso delle forze trasversali che agiscono sulla carena ha risultante nulla, a meno di azioni indotte da correnti marine, da colpi di mare o dal vento. In queste condizioni ideali, la simmetria delle pressioni esercitate sullo scafo viene alterata solo per effetto della rotazione del timone di un certo angolo rispetto alla posizione diritta, detto angolo di barra. In tal caso infatti il flusso dell’acqua genera sulla pala una pressione che ha una risultante prevalentemente trasversale: questa forza è la causa dell’accostata della nave.

Quando il timone viene portato ad un determinato angolo di barra, e quindi ha inizio l’accostata, possiamo osservare 3 forze che agiscono sullo scafo: • Una rotazione attorno all’asse verticale baricentrico, dovuta al cosiddetto “momento evolutivo”, è quindi la forza che fa variare l’angolo di rotta; • Una forza trasversale, che produce uno spostamento trasversale della nave; • Una forza longitudinale, che causa infine una riduzione della velocità della nave, poiché ha direzione uguale ma verso opposto alla forza propulsiva. Studi riguardo la stabilità mostrano che, all’aumentare dell’angolo di barra del timone, il diametro di girazione si riduce con proporzionalità non lineare, infatti quando l’angolo di barra al timone supera i 30°÷35° le qualità evolutive sostanzialmente non migliorano

La manovra di evoluzione

Passiamo ora alla manovra di evoluzione, usata molto frequentemente durante le manovre di attracco. La manovra di evoluzione risulta una manovra molto importante, è la classica manovra mediante la quale la nave si “gira”. Viene condotta generalmente a partire da una traiettoria rettilinea, percorsa alla velocità prestabilita, portando la nave in moto circolare uniforme con il massimo angolo di barra del timone. Nell’evoluzione possiamo distinguere 3 differenti fasi: • la fase di entrata. La nave viene inizialmente portata alla velocità voluta su rotta rettilinea (fase di entrata) e quando il moto è uniforme si comincia ad effettuare la manovra del timone: a questo punto inizia l’accostata della nave. • la fase di evoluzione. La nave compie un percorso a spirale con centro di istantanea rotazione variabile e raggio di curvatura della traiettoria sempre più piccolo. Di questa fase è necessario parlare anche per ciò che riguarda lo sbandamento della nave: si genera un forte sbandamento di evoluzione verso l’esterno causato dalla forza d’inerzia della massa aggiunta d’acqua trascinata nel movimento trasversale e dalla forza idrodinamica, che lavorano in contrasto con la forza del timone. • la fase di girazione. La curvatura della traiettoria si stabilizza e la nave prosegue la sua corsa con moto circolare uniforme su un diametro detto diametro di girazione.


La manovra di arresto

La manovra di arresto del moto di avanzo è una manovra fondamentale, e viene eseguita esclusivamente allo scopo di evitare la collisione con un ostacolo che si trova sulla propria rotta. La manovra standardizzata prevede che la nave si trovi inizialmente in moto rettilineo uniforme e che ad un certo instante la spinta generata dal propulsore venga invertita nella maniera più veloce possibile fino a generare una forza frenante, forza che è proporzionale al comando che viene dato, che è previsto essere di “macchine indietro tutta” (full speed astern). Alla forza frenante delle macchine segue un’accostata, in modo tale da assicurare un allontanamento dall’ostacolo. Come effetto dell’azione esercitata dal sistema propulsivo e dal timone, la nave inizia a percorrere una traiettoria curva con moto decelerato.